venerdì 19 dicembre 2008

Manifesto (di carta)

Sto finalmente leggendo gli arretrati lasciati su Google reader al termine di questa settimana stakanovista, dimostratasi micidiale per il mio fancazzismo.
Ero arrivato a Leonardo, che lascio abitualmente per penultimo, richiedendo sempre uno sforzo di concentrazione e una certa calma per essere apprezzato, ed ecco il post che mi ricorda che oggi il Manifesto costava cinquanta euri.
Io non l'ho comprato, questa volta: per distrazione e non per scelta meditata; ma alla fine se me ne fossi ricordato per tempo non credo che sarei andato all'edicola.
Tempo addietro (e non parlo di tanto tempo addietro), il Manifesto era l'unico quotidiano che leggevo, praticamente da cima a fondo; e non riuscivo a capire come si potessero comperare quotidiani ben più corposi, che quando mi capitavano fra le mani sfogliavo distrattamente senza riuscire ad appassionarmi ad alcun articolo.
Poi qualcosa è cambiato.

Credo che il limine sia costituito dal cambio di direzione, quando Barenghi è stato sostituito da Gabriele Polo e Mariuccia Ciotta. A me poi Polo sta anche simpatico, quando lo vedo in tivvù; ma la linea che hanno dato al quotidiano -che peraltro è esattamente quella che avevano promesso di dare nell'articolo programmatico scritto al momento dell'insediamento- non riesco a sopportarla.
Oggi, le rare volte che ormai lo compro, mi trovo tra le mani un foglio di carta che non mi offre alcuno stimolo, alcuna emozione. Vi ritrovo dentro la stessa demagogia delle trasmissioni del Piero Marrazzo che fu, della Falcetti antelucana: un populismo diretto all'operaio incattivito e all'operatore di call center sfruttato.
E io sono perfettamente d'accordo con il fatto che l'operaio si incattivisca e il precario si incazzi per lo sfruttamento, ma non mi pare che un giornale debba girare il coltello nella piaga.
Il Manifesto che mi piaceva dava strumenti per superare cattiveria e frustrazione; quello di oggi mi sembra invece che le alimenti, fornendo ai lettori meno fortunati -seppur ne son rimasti- il conforto di una visione eroica del proprio stato. Quanto ai lettori più fortunati, credo si siano ridotti al lumicino per consunzione e noia mortale. Molti probabilmente continuano ad acquistare all'edicola, così come si lavano i denti la mattina: per istinto: ma con sempre meno convinzione.

Passando dal generale al personale, c'è poi un momento ben preciso in cui ho io iniziato a diradare gli acquisti: il giorno in cui il sabato il prezzo con Alias è passato a due euri e mezzo.
Io so di non essee un intellettuale, e quindi non mi vergogno molto a confessare che per me il pretenzioso Alias era, oltre che una gabella, un fastidio per il doverlo trasportare dall'edicola al più vicino cestino della differenziata. E così ho smesso di comprare il giornale il sabato, accorgendomi non solo che vivevo lo stesso, ma che forse addirittura vivevo meglio.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Già il revanchismo è fastidioso,
il vittimismo che rinuncia anche al revanchismo
è proprio intollerabile.

Che sia questo che ha iniziato ad infastidirti?

Il Comunismo è un'idea di società non priva di qualche interesse,
ma 'sto sol dell'avvenire non sembra proprio che scaldi.

Un osservatore critico
ma non pregiudizialmente negativo.

 

legalese
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