domenica 11 gennaio 2009

Dimissioni

Chi pensasse che la gioiosa macchina da guerra pomposamente denominata Partito Democratico abbia ancora qualche senso, farebbe bene a leggere qualche articolo abbastanza eloquente sulla preparazione dello scisma.
Ormai il problema sul tavolo per i dirigenti del PD non è più quello di come salvare la baracca, bensì di come salvare le chiappe e rimettersi in gioco sotto un'altra bandiera. Cosa che non dovrebbe essere punto difficile per gente che per molti anni ha militato in un'organizzazione chiamata "Partito Comunista Italiano" e che ciononostante afferma -e non sul palco dello Zelig- di non essere mai stata comunista.
Io ho qualche considerazione da sviluppare.

E' noto a tutti che nelle cose del mondo quasi sempre è la misura, che conta. L'arsenico e la digitale possono essere usati come farmaci o come veleni. La tossina botulinica può regalare un aspetto giovanile o mandare al Creatore. Un bicchiere di vino fa bene; una bottiglia di vino non fa tanto bene; cinque bottiglie di vino possono ammazzarti.
E, per cambiare argomento, avere qualcuno innamorato di te è una cosa che riempie il cuore; essere perseguitato da uno stalker può rovinare la vita tua e quella di chi ti circonda. Cercare di far quadrare i conti del bilancio familiare rinunciando a cose superflue e troppo costose per le proprie possibilità economiche è indice di saggezza; accumulare danaro rinunciando persino a nutrirsi, vestirsi e riscaldarsi è indice di un'avarizia patologica. Come pure: altro è condividere disinteressatamente con il proprio prossimo parte della propria fortuna; altro è dilapidare senza controllo alcuno i propri beni.

Cambiamo discorso.
Ci sono delle qualità che un leader deve possedere: carattere, determinazione, sicurezza di sé. Un generale tremacoda sarà al grado al più di mandare i propri uomini a farsi ammazzare, sempreché non venga ammazzato prima lui. E un amministratore delegato deve saper imporre le proprie scelte innovative, contro il parere di coloro che pensano "vecchio".
Quando però il leader, malgrado i colpi del destino e l'opinione di chi lo consiglia, comincia ad accorgersi di essere l'unico ad avere una certa visione, e che tra coloro che gli danno ragione non vi sono più persone competenti, bensì sono rimasti solo adulatori e clientes, allora il carattere comincia a divenire caparbietà, la determinazione pervicacia e la sicurezza testardaggine.
Difetti che chi ricopre posizioni di potere spesso porta con sé, ma che possono essere mitigati dall'intelligenza, dalla volontà e dalla disciplina.
Ma talora intelligenza, volontà e disciplina vengono meno: ed allora ecco che le qualità divengono inguaribili difetti. Appaiono ostinazione, tigna, cocciutaggine. Paranoia. Autismo. Il leader porta alla rovina sé stesso e, cosa assai più grave, tutta la sua organizzazione: sia gli yes-man che coloro che fino all'ultimo hanno tentato di farlo ragionare.
Ma questa è patologia del comando: non fisiologia. Le cose di solito vanno (o perlomeno dovrebbero andare) diversamente.
Chi sta al vertice dovrebbe essere abbastanza lucido, presente a se stesso e soprattutto dotato di quel minimo senso di umiltà necessario a fargli comprendere di aver imboccato una strada sbagliata. Può capitare a tutti di sbagliare rotta, lo dice anche il proverbio che è nella nostra natura errare: l'importante è non perseverar nell'errore, imparare dagli sbagli come comportarsi per il futuro.
Un capitano che grazie a lucidità e umiltà si accorga in tempo di aver imboccato un vicolo cieco è ancora in grado di fermare le macchine e rimettere la prua verso la meta. Ma può essere troppo tardi.
Anche in questo caso, tuttavia, c'è una soluzione che consente di salvare la nave, o fuor di metafora l'organizzazione; ed è una soluzione semplicissima: si chiama dimissioni
Le dimissioni hanno uno straordinario effetto catartico per l'organizzazione il cui capo si dimette: salvo casi eccezionali non importa quanto le prime e le seconde linee della struttura (e quindi la struttura stessa, ontologicamente determinata) fossero coinvolte negli errori di valutazione del capo o addirittura nelle sue furfanterie: con la rimozione del vertice l'organizazione può ripartire a nuovo, o perlomeno sperare di farlo.
E la cosa più curiosa di tutte è che la catarsi coinvolge anche il capo che, finalmente, si decide a lasciare il posto. Non importa quanti svarioni o quante marachelle abbia commesso: con le dimissioni, magari seguite da un ritiro in campagna o su un'isoletta lontana dalle rotte più battute, il dimissionario riesce a costruirsi una nuova credibilità.
Non è che che le dimissioni possano rendere la verginità a una vecchia baldracca: ma sono comunque l'equivalente di un intervento di imenoplastica, che ben può ingannare gli utenti meno smaliziati.
E -questo è sorprendente- funzionano anche quando è perfettamente chiaro che colui che le ha rassegnate lo ha fatto solo perché non aveva alcuna altra scelta, in quanto un minuto dopo sarebbe stato cacciato a pedate.
Io non so se Veltroni creda nel Partito Democratico: credo che sia troppo arrogante ed egoriferito per credere in qualunque cosa che non sia sé medesimo. Ma se ci crede, l'unica cosa sensata che può fare è dimettersi. Subito.

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