lunedì 11 maggio 2009

Lezioni italo-americane - la bancarotta /8

La prima puntata di questa serie, che contiene una legenda e alcuni riferimenti e link, la trovate qui

L'altro giorno avevo rimarcato come, in assenza di commenti, non mi fosse possibile capire se queste lezioni fossero di un qualche interesse e, soprattutto, se quanto raccontavo fosse abbastanza chiaro.
Un commento di Fang, che ringrazio di cuore, mi fa capire che il tema della revocatoria è tutt'altro che chiaro; e dato che è fondamentale per capire come funziona un fallimento, ci torno un poco sopra.
La revocatoria, abbiamo detto qui, è un'azione posta in essere dal fallimento per "smontare" un atto compiuto al fine di "metterlo in quel posto" ai creditori" (i termini tra virgolette sono ovviamente tecnicismi giuridici che mi perdonerete).
Poniamo il caso di un imprenditore che, qualche giorno prima di fallire, decide -tra tutti i debiti che ha- di pagare 1.000 euro a uno dei suoi creditori, il quale conosce benissimo la sua situazione; o addirittura che decide di pagare tale somma anticipatamente, anche se la fattura scadrebbe solo dopo un mese.
In questo caso, una volta dichiarato il fallimento, il curatore chiederà indietro i 1.000 euro al creditore; e questi -che pertanto risulta non pagato- avrà diritto di chiedere 1.000 euro al fallimento. Solo che il fallimento riceve 1.000 euro interi, mentre il creditore riceverà, alla chiusura del fallimento, 1.000 euro in moneta fallimentare: cioè nella misura in cui la riceveranno tutti gli altri creditori. Se ipotizziamo che il fallimento paghi il 15% ai creditori chirografari, il nostro creditore dovrà restituire 1.000 e alla fine ricevere 150: ne consegue che per gli altri creditori ci saranno 850 euro in più da spartire.
Un altro caso di revocatoria è quello relativo a una concessione di garanzia. Mettiamo il caso che l'imprenditore di prima anziché pagare 1.000 euro conceda un'ipoteca per quella somma al creditore. Questi, dopo la dichiarazione di fallimento, avrà diritto di farsi pagare per intero il proprio credito, vale a dire ricevere 1.000 euro. Ma se il fallimento revoca l'ipoteca, cioé la fa dichiarare inefficace, dovrà pagare solo 150 euro: vedete che l'effetto è il medesimo.

Come si accorda tutto ciò con la disciplina del Concordato preventivo? Facciamo qualche altro numero.
Ammettiamo che un imprenditore abbia beni per 700.000 euro e debiti per 1.000.000, di cui 400.000 privilegiati. Egli può (poteva: siamo sempre nella normativa anteriore al 2006) presentare una domanda di Concordato preventivo che preveda:
- il pagamento delle spese (50.000 euro: notate che le spese hanno sempre precedenza su tutto);
- il pagamento per intero dei creditori privilegiati (400.000 euro);
- restano 250.000, con cui pagare 600.000 di crediti chirografari: vale a dire il (250/600=)41,6%: la domanda è ammissibile in quanto la percentuale supera il 40%.
E' però possibile che quei 400.000 euro di crediti privilegiati in realtà siano costituiti da 150.000 di privilegi veri (ad esempio un'ipoteca risalente nel tempo, come pure stipendi arretrati), e per 250.000 di privilegi concessi in frode agli altri creditori. In caso di fallimento pertanto come sarebbero distribuiti i soldi?
- 100.000 euro per le spese (che sono superiori: è una procedura più costosa);
- 150.000 euro per i crediti privilegiati;
- 450.000 euro a pagamento di 850.000 euro di crediti chirografari, per una percentuale del (450/850=)53%.
Ne risulta che il fallimento è più conveniente del concordato, anche se costa di più!

Ecco: questi sono i ragionamenti che, vigente la normativa anteriore al 2006, il Tribunale doveva fare prima di dichiarare l'omologazione del Concordato. Notate che si tratta di ragionamenti che possono fare anche i singoli creditori che vanno a votare sull'ammissione; ma non si tratta di ragionamenti semplicissimi, soprattutto perché la revocatoria non è un qualcosa di scritto sul marmo. Se ben ricordate, infatti, in certi casi il Curatore deve fornire la prova che il creditore sapeva che l'imprenditore stava per fallire; in altri è il creditore stesso che deve provare che non lo sapeva: rimane insomma un certo margine di dubbio, che fa sì che l'esito della causa sia tutt'altro che scontato; ed è per questo che la decisione del Tribunale fallimentare doveva assicurare un approccio più tecnico e consapevole, a tutela di tutti i creditori.

(continua)

1 commento:

dedioste ha detto...

Continua assolutamente, le lezioni sono molto interessanti. E c'è da dire che esempi come quello di oggi aiutano a capire ancora meglio.
Aspetto con interesse la parte sulla normativa attuale post 2006

 

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