sabato 23 maggio 2009

Lezioni italo-americane - la bancarotta /11

La prima puntata di questa serie, che contiene una legenda e alcuni riferimenti e link, la trovate qui
Negli articoli che parlano delle procedure statunitensi mi sono riproposto di utilizzare sempre i termini originali inglesi, in corsivo, per tutti i sostantivi tecnici. Mi riservo di utilizzare l'aggettivo fallimentare e consimili, di quando in quando, per fluidità di discorso.
Mi capiterà anche di scrivere "America" e "americano" nel senso di "Stati Uniti" e "statunitense": la professoressa Collotti Pischel rimandava a casa senza appello e senza esitare il candidato che avesse detto "Russia" o "russo" per riferirsi alla nazione e al popolo sovietici: so che voi non siete così drastici, e l'uso di termini colloquiali serve ad alleggerire il discorso.


Se siete riusciti ad arrivare sino a questo punto dovreste esservi fatti un quadro abbastanza verio, seppur molto semplicistico, della storia delle procedure fallimentari italiane, e avrete colto -almeno lo spero- alcune caratteristiche fondamentali.
Anzitutto, avrebbe dovuto emergere con chiarezza la preminenza la natura squisitamente liquidatoria del Fallimento e, a ruota, delle altre procedure minori, seppur con qualche temperamento. Da tale natura liquidatoria discende direttamente la seconda caratteristica, vale a dire l'incardinamento di tutte le procedure sul creditore, che viene tutelato sia dai maneggi del debitore che da quelli degli altri creditori che concorrono con lui nello spartirsi il patrimonio del fallito.
Abbiamo anche visto che dal 2006-2008 questi pilastri sono un po' venuti meno (e se vogliamo esser pignoli, già erano stati superati per le grandi aziende in crisi con la legge Prodi-bis/Marzano), e limitatamente al Concordato preventivo si può dire vi sia stata una mezza rivoluzione copernicana; ma per il resto rimangono i cardini che ho esposto poco fa.
Se andiamo dall'altra parte dell'Oceano, negli Stati Uniti, le cose stanno in modo completamente diverso: quello che mi propongo è di illustrarvi come funziona la Bankruptcy americana e, ora che siete provetti nel diritto italiano, farvi apprezzare le differenze rispetto alla disciplina che abbiamo noi.

Consentitemi una divagazione: quando ho pensato di fare degli articoli comparatistici, quello che mi proponevo era di spiegare agli italiani come funzionano le leggi del loro paese, sula base della triste constatazione che, grazie all'egemonia culturale americana che pervade il mercato cinematografico, librario e televisivo, gli italiani gli italiani conoscono meglio le procedure e le leggi di laggiù.
Una delle poche materie in cui ciò non è vero è proprio quella fallimentare: e ciò perché, per quanto uno sceneggiatore possa aver vinto decine di Oscar, rendere appetibile al pubblico un First Day Motion Hearing sarebbe veramente impensabile.
Questo ciclo di lezioni è nato in coincidenza con il Chapter 11 filing di Chrysler, e pian pianino si è espanso ben al di là degli intenti originari, tanto che a pochi giorni dalla celebrazione dell'asta che, sulla base del 363 sale plan, dovrebbe assegnare gli asset di Chrysler a Fiat, non abbiamo ancora visto proprio nulla della procedura americana.
Nel frattempo tante cose sono accadute: probabilmente settimana prossima anche General Motors cercherà riparo in un Chapter 11: spero di esser riuscito a spiegare qualcosa prima che anche GM venga venduta!

Veniamo al sodo, dunque: e cominciamo con il principio che sta alla base di tutto il diritto fallimentare statunitense:

Fresh Start


Nel 1915 la Corte Suprema federale rimarcava:
It is the purpose of the Bankruptcy Act to [...] relieve the honest debtor from the weight of oppressive indebtedness and permit him to start afresh free from obligations and responsibilities consequent upon business misfortunes (Williams v. United States Fid. & Guar. Co., 236 U.S. 549)

Nel successivo 1934 la stessa Corte Suprema, nel caso Local Loan co. v. Hunt (292 U. S. 234), affermava:
This purpose of the act has been again and again emphasized by the courts as being of public, as well as private, interest, in that it gives to the honest but unfortunate debtor who surrenders for distribution the property which he owns at the time of bankruptcy a new opportunity in life and a clear field for future effort, unhampered by the pressure and discouragement of preexisting debt
Sembra un'impostazione un po' paternalistica, ma in queste poche parole c'è tutto il diritto fallimentare americano: ricordate che lo scopo del diritto continentale è quello di garantire i creditori l'uno dall'altro, e di impedire che il debitore possa fregarli? Ecco, per il diritto degli Stati uniti lo scopo è quello di regolare le cose una volta per tutte, per consentire all'onesto ma sfortunato debitore una nuova opportunità nella vita.
E, come sempra accade quando si parla di Stati Uniti, non è semplice capire le motivazioni profonde di certi comportamenti. Avevo detto che sembra un po' paternalistica questa tutela dell'"onesto ma sfortunato" debitore: in fondo, basta pensare a due film quali La ricerca della felicità o The wrestler per avere due esempi di come l'America sia quel posto dove se non hai i venti dollari per il padrone del motel, quello ti cambia la serratura, fregandosene del fatto che tu abbia un bambino stanco e affamato o centotre gradi di febbre.
E in effetti il concetto di Fresh Start ha un po' a che fare con i diritti della persona, ma molto di più con la tensione tutta statunitense all'efficienza.
La stessa sentenza Local Loan co. v. Hunt spiega molto bene che il principio dell'esdebitazione (così è stata chiamata in Italia la cancellazione dei debiti introdotta dalla nuova legge fallimentare nel 2006) è anzitutto di interesse pubblico: perché per chi si trova a dover versare i propri guadagni ai creditori, pochi o tanti che questi siano, guadagnare o non guadagnare avvetto è la stessa cosa: e quindi pure lavorare o non lavorare affatto (in Itala vi sarebbe l'alternativa del lavoro in nero, che la Corte Suprema federale ovviamente non prendeva neppure in considerazione):
The power of the individual to earn a living for himself and those dependent upon him is in the nature of a personal liberty quite as much, if not more, than it is a property right. To preserve its free exercise is of the utmost importance not only because it is a fundamental private necessity, but because it is a matter of great public concern. From the viewpoint of the wage earner, there is little difference between not earning at all and earning wholly for a creditor. Pauperism may be the necessary result of either. The amount of the indebtedness, or the proportion of wages assigned, may here be small, but the principle, once established, will equally apply where both are very great. The new opportunity in life and the clear field for future effort which it is the purpose of the Bankruptcy Act to afford the emancipated debtor would be of little value to the wage earner if he were obliged to face the necessity of devoting the whole or a considerable portion of his earnings for an indefinite time in the future to the payment of indebtedness incurred prior to his bankruptcy.


(continua)

2 commenti:

Stufa ha detto...

Interessante ma poco comprensibile, per me. :-(
Bello il menù delle letture qui a fianco.

m.fisk ha detto...

Per l'inglese o per il contesto? Perché se è la seconda che ho detto, devi risalire fino alla prima lezione.

 

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