lunedì 22 giugno 2009

L'esito dei referendum (a caldo)

Sarebbe bello che, ad urne chiuse e risultato definito, coloro che si sono schierati per il Sì agli ennesimi improvvidi referendum in materia elettorale si ricredessero e comunciassero a fare un po' di vecchia, sana autocritica.

Non voglio qui parlare di chi ha partecipato alla raccolta di firme e poi si è ricreduto. Non che ricredersi sia un atto sordido, anzi! Ma il sospetto che uno come Di Pietro abbia partecipato alla raccolta credendo di trarre un vantaggio tattico dal referendum, e abbia poi ritrattato capendo, dopo due anni, che avrebbe tratto un vantaggio tattico dalla sconfitta è troppo forte.

Non parlo neppure di Mariotto Segni, uno dei pochi personaggi per i quali metto in dubbio il mio principio che le colpe dei padri non debbano ricadere sui figli, e neppure del mendace Guzzetta, il quale via via che si avvicinava la scadenza della chiamata alle urne manipolava la verità con sempre maggior dispregio della realtà, fino ad arrivare alla puntata di Tetris di venerdì scorso: una vera chicca per chi avvia avuto la ventura di vederla.
Li vedete qui a fianco, in compagnia del terzo genio della lampada: tre persone che, messe insieme e senza la facoltà di ricatto discendente dal maggioritario puro, non avrebbero neppure la capacità di radunare abbastanza condòmini da deliberare la riparazione delle tegole del tetto ammalorato.

No: penso, ad esempio, al disastroso Veltroni: l'uomo che scommettendo sul bipartitismo è riuscito a mandare in vacca il governo di centro-sinistra, facendo dimettere Mastella. Mossa poco accorta, quando le sorti di un governo si basano su due voti di maggioranza, dei quali uno quasi centenario e l'altro notoriamente banderuola: e il tutto non già per la considerazione che Mastella è un poco di buono, bensì per il velleitario progetto di importare in Italia un progetto di forma di governo all'americana, ciò che sarebbe stupido in sé, ma considerato l'esito delle elezioni politiche e di tutte le elezioni successive (tranne quelle del trentino e le presidenziali, beninteso) sarebbe degno di ricovero al neurodeliri.

Penso a Fini, che porta a casa anche lui una nuova sconfitta che dovrebbe farlo rendere conto del fatto che succedere a Berlusconi come principe sovrano, senza avere di Berlusconi il carisma e soprattutto il patrimonio, sarà impresa difficile assai. La vittoria al referendum era la sola speranza rimastagli: tramontata questa tramonterà anche l'ambizione del delfino in pectore: e probabilmente vedremo nelle prossime settimane un certo mutamento nelle esternazioni e negli atteggiamenti della terza carica dello Stato.

Penso anche a Franceschini, che non si capisce bene in nome di quale debito da pagare si sia imbarcato nel sostenere la disgraziata linea del proprio predecessore: schierandosi per il Sì in un gioco a somma negativa, ché sia in caso di vittoria dei Sì sia in caso di sconfitta del Sì, per il PD sarebbe stata una tragedia (e la sconfitta del Sì in fondo è la tragedia minore, dato che sconfitta è soprattutto la faccia politica del segretario, ma il futuro della sinistra è salvo).

Sarebbe bello che tutti costoro ammettessero finalmente che gli italiani non ne vogliono sapere, di avere due partiti; che due partiti vanno bene in America ma qui abbiamo un'altra storia, un'altra cultura e financo un'altra Costituzione e tradizione democratica. Già, perché anche la nostra è una democrazia, magari meno antica, ma democratica: e non è che perché gli USA sono democrazia da più tempo, perciòstesso debbano essere più democrazia di noi.
Potrebbe cominciare, Fini, a non dire che "i quesiti erano complicati": perché non lo erano. I primi due, in particolare, volevano una cosa molto semplice, anche se per motivi tecnici era espressa con migliaia di parole. Il terzo quesito era espresso con molto meno parole, e paradossalmente )per Fini) era il più complesso dei tre, quanto a capirne gli effetti.
Potrebbe proseguire, Guzzetta, a non provarsi a parlare di brogli e intimidazioni ai seggi: che di fronte a un'astensionismo così travolgente, le sue parole suonano un po' ridicole (e aspettiamo poi di vedere quanti saranno i No: perché molti, come ben sappiamo, sono andati comunque a votare, e votare No, con l'idea di respingere i quesiti ma salvaguardare lo spirito dei referendum: sarebbe quindi una bella sorpresa se la percentuale di Sì, su quei pochi voti espressi, fosse poi persino minore del 90 o dell'85%)*.
Potremmo, un po' tutti, piantarla di pensare che i mali del Paese vengano da una cattiva legge elettorale. Perché la legge è cattiva, ma indiscutibilmente in questo momento offre tutti gli strumenti per governare alla coalizione che ha vinto le elezioni: che ha una barca in più di voti. Se l'azione di governo fa schifo, la colpa non è della legge elettorale: è di chi siede in Parlamento, e quindi del popolo italiano, che ha dato a tale coalizione una maggioranza invidiabile e mai vista nella storia repubblicana.
Popolo che si è bevuto un'autocisterna di propaganda, per credere a Berlusconi: e che si berrà altrattante autocisterne, a ciascuna delle prossime elezioni, qualunque sia il sistema elettorale in vigore, foss'anche quello della paupasia.

*aggiornamento: dai primi spogli sembra infatti che i NO siano almeno il 20%

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