domenica 3 maggio 2009

Lezioni italo-americane - la bancarotta /4

La prima puntata di questa serie, che contiene una legenda e alcuni riferimenti e link, la trovate qui

Con quello che abbiamo visto nella scorsa puntata avete imparato tutto quello che c'è da imparare per capire che cos'è un Fallimento, dal punto di vista sostanziale. Non crediate tuttavia di essere diventati dei fallimentaristi e di potermi rubare il mestiere: il diritto fallimentare infatti è complicatissino, dal punto di vista procedurale; e la cosa è ben comprensibile se consideriamo che, per definizione, un fallimento è una coperta corta, che ciascuno dei (tantissimi) soggetti a vario titolo coinvolti cerca di tirare almeno un po' dalla sua parte. Creditori privilegiati contro creditori chirografari; creditori chirografari contro altri creditori chirografari; quelli che rivendicano un bene contro il Curatore che afferma che il bene è del fallimento; e poi periti, consulenti, aste, verifiche; e su tutto una pletora di avvocati, una parte (fortunatamente minoritaria) dei quali non si fa scrupoli a complicare le cose per assicurarsi parcelle più grasse.
E' chiaro, anche al profano, che questa mole di conflitti può essere affrontata solo con un corpo organico e complesso di regole procedurali, anche defatiganti, che per vostra e mia fortuna qui ci possiamo risparmiare.

Ci mancano solo due approfondimenti, prima di passare oltre: vi sembreranno ora minuzie, ma vedrete che saranno molto importanti quando andremo a vedere come funziona la Bankruptcy negli USA.
L'imprenditore
Il primo è relativo alla figura dell'imprenditore. Abbiamo spesso detto imprenditore anziché debitore, e il motivo è semplice: secondo la Legge fallimentare italiana solo gli imprenditori possono essere dichiarati falliti.
Prima del 2006 il fallimento poteva essere dichiarato nei confronti di qualunque imprenditore (persona fisica, o meglio ditta individuale, e società), eccezion fatta per quelli così minuscoli da essere praticamente inesistenti. Oggi invece è necessario avere anche un certo volume d'affari e di capitali, per cui si è ridotto il numero di soggetti fallibili.
Il motivo della limitazione ai soli imprenditori è abbastanza semplice: da un punto di vista storico, il nostro diritto fallimentare del 1942 discende dal Codice di Commercio del 1882, a sua volta derivato dal Code du Commerce napoleonico del 1807, cui erano soggetti solo i commercianti. Ma vi è anche un motivo sostanziale che giustifica il permanere di questa limitazione: tutta la struttura del procedimento fallimentare è tesa alla salvaguardia dei diritti dei creditori, sia nei confronti del fallito sia, soprattutto, nei confronti degli altri creditori, al fine di assicurare la parità di trattamento di ciascuno. Ed è solo di recente che i privati cittadini sono in condizione di contrarre una pluralità di debiti: fino a non molti anni fa l'unico debito che l'uomo della strada poteva contrarre nella propria vita era un mutuo fondiario per l'acquisto della casa, e più recentemente magari le cambiali per l'acquisto della Seicento. Non esistendo forme di finanziamento quali le carte di credito, il credito al consumo, i prestiti a interessi zero, veri o mascherati, alla fin fine il fallimento di un privato si sarebbe risolto nel concorso dell'Istituto di credito fondiario e del pizzicagnolo all'angolo: ben poca cosa per i tempi e i costi di una procedura così complessa.

La chiusura del fallimento
Ci resta da vedere cosa succede quando il fallimento si chiude. Per quanto riguarda le società, non c'è granché da dire: una volta terminata la procedura la società viene cancellata dal registro delle imprese e muore a tutti gli effetti.
Per quanto riguarda le persone, invece, non è che le si possa ammazzare, né tenere in stato di fallimento fino alla loro morte naturale; e così fino al 2006 la legge prevedeva che con la chiusura del Fallimento "I creditori riacquistano il libero esercizio delle azioni verso il debitore per la parte non soddisfatta dei loro crediti per capitale e interessi": in parole povere ciascuno è libero di rimettersi a cercare beni da pignorare, vuoi quelli che fossero sfuggiti alle grinfie del curatore, vuoi quelli che il povero ex imprenditore dovesse tornare ad accumulare nel tempo (la sottolineatura di povero è dovuta al fatto che delle centinaia di falliti che io ho conosciuto nel tempo, solo due o tre in tutto alla fine stavano messi veramente male: gli altri erano tutti rimasti belli e pasciuti).
In effetti non è che poi si andasse veramente ad inseguire l'ex fallito per il resto dei suoi giorni, ma la possibilità, in teoria e talvolta anche in pratica, di fronte a falliti che conducevano la bella vita, c'era.
Con la riforma del 2006 è stata introdotta la esdebitazione: vale a dire che il fallito che si sia "comportato bene" durante la procedura può ottenere la liberazione dai debiti residui: la loro cancellazione, in parole povere: ciò consente al fallito, o dovrebe consentirgli, di ripartire daccapo.

(continua)

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